Sono molto lieta di invitarvi al mio intervento serale presso Trivenetoblog, con Monica Soldano.
Conducono Serena Pattaro e Roberto Hechich.
Come sapete, ho indetto una petizione per sensibilizzare l’attuale premier sulla condizione delle donne in questi tempi difficili. Anche in questa epoca di emergenza sanitaria, infatti, sono le donne a pagarne le conseguenze economiche e sociali in maniera maggiore, situazione costante nella storia, fin dai tempi antichi, quando, nelle zone del triveneto orientale erano loro a tenere le chiavi di quel mondo di confine tra il mondo razionale e quello magico e trascendente: streghe, krivapete, sciamane hanno fatto spesso le spese della loro sensibilità e della capacità di guardare l’essenziale, invisibile agli occhi dei più.
Vi aspetto quindi stasera alle 21:00 su questo link:
Eccomi di ritorno, dopo un lungo periodo, fra le pagine del mio blog, con una serie di appunti presi nel corso di alcune conferenze davvero speciali, svoltesi a Gorizia grazie al progetto SconfinataMente.
Purtroppo, per ragioni di lavoro, non sono riuscita a partecipare a tutti gli incontri, ma tutto ciò che sono riuscita a raccogliere, ve lo riporto fedelmente.
Ariel Haddad, Rabbino Capo di Slovenia – “Le virtù dell’Ebraismo, cosa sono e cosa farne”:
Se tu guardi nello specchio, devi vederci te stesso, ma anche gli altri, poiché lo specchio è un vetro con una vernice argentata;
Non puoi vedere qualcuno, riconoscergli pregi e difetti e credere che non siano presenti anche in te: li hai tutti;
L’unica entità alla quale tu puoi rivolgere lo sguardo e rifletterti positivamente è il divino. Gli altri esseri umani e tu siete uguali e quindi, l’unico modo per coesistere è costringerti a non guardarli con giudizio e malevolenza. Piuttosto guarda al Divino e ricorda che l’uomo è riflesso del Divino. Questa è l’unica virtù (parola, peraltro, non presente nell’ebraico antico);
Midot significa Misura e sono 13 attributi divini grazie ai quali conosciamo la misura del comportamento. Vi si trovano: perdono, scusa, pietà, compassione, verità (Emet) come a volerci ricordare che la chiave per poter giungere a tutto questo risiede nella verità, quella che è presente nel Divino;
Ciò che di brutto vediamo negli altri è ciò che noi possediamo. Se non lo vediamo, significa che non lo possediamo.
Prof.ssa Carmela Crescenti, insegnante di scuola primaria e docente universitaria -“Solidarietà nel Corano e negli hadadith”:
Di solito l’Islam appare il contrario della virtù (guerra, violenza, odio), ma sono le caratteristiche più basse. Invece c’è anche un aspetto molto più interiore, spirituale e luminoso, ma difficile da far proprio;
il Jihad (combattimento) prevede il detto del Profeta: “C’è un piccolo jihad e c’è un grande jihad”. Ovvero c’è il combattimento guerriero e quello interiore, per avvicinarsi a Dio. Plasmare l’anima: combattere contro i difetti dell’egoismo, che ti impedisce di pensare agli altri, pensando alle cose importanti. L’esteriore è tutto il mondo che c’è intorno a noi. La Natura, che è sacra e divina. Il più alto gradino della virtù è lodare Dio, il più basso togliere un sasso da terra perché per te è un ingombro: il sasso è di tutti, quindi non devi toglierlo;
Dio è più vicino a noi della vena giugulare. Quindi la nostra è una ricerca di come stabilizzare la nostra entità divina e la strada è purificare l’anima. L’uomo è fatto di tre componenti: corpo, anima, mente. Si loda Dio essendo se stessi, conoscendosi, capendo qual è la verità sua e divina. Questa via della conoscenza è virtuosa. La ricerca è divina di per sé, poiché è interiore, è la grande jihad. Conoscere se stessi non si può insegnare, è un percorso individuale. Chi conosce se stesso, conosce il Signore. E che faccia ha il Signore?
Ascoltare serve moltissimo. Come anche vedere: la ricchezza del Creato. Se trovi il tuo modo per star bene con te stesso, allora vivi nell’armonia.
Perché si vive? Per lodare Dio, il Creato e conoscere se stessi;
Cos’è l’Amore? Il legame universale e non puoi farne a meno. Lo troverai sempre in te stesso.
Malvina Savio, monaca del centro Buddhista Tibetano Sakya, Trieste – “Le virtù nel Buddhismo”:
Buddha và dall’ateo al credete. Chi viene al nostro centro non viene chiesto di cambiare religione, anzi. Il Dalai Lama suggerisce che ognuno deve approfondire la propria religione.
Il Samsara è sempre turbolento. Bisogna trovare un equilibrio per vivere in modo armonioso in esso;
Per arrivare a essere un Bodhisattva, bisogna fare un percorso. Le virtù sono: generosità, etica, pazienza, perseveranza, meditazione e saggezza. La prima Paramita/Virtù è la generosità, il dare, quindi imparare a staccarsi piano piano dai beni materiali per poi imparare a donare anche il proprio corpo. Praticare il Dono è la più grande Virtù.
Alessia Rizzardi (Rumkini Devi) e Andrea Giuseppin (Shilanga Deva), rappresentanti dell’Unione Induista Italiana – “Le Virtù nell’Induismo”:
L’Induismo è una religione monoteista. Infatti, crede che Dio sia Uno, ma che abbia molti volti. Il numero è di 33 milioni di divinità, ma non sono che rappresentazioni dell’Uno.
Sanatana Dharma è il vero nome dell’Induismo, termine coniato dagli inglesi e divenuto internazionale;
Dharma: nutrire, sostenere. Si tratta di norme che regolano il rapporto tra divino e creato. Quando noi ci poniamo in armonia con il Dharma, siamo persone realizzate, in armonia con Dio. Il Dharma è eterno: non ha inizio, né fine. Diventa universale. Una virtà è l’Ahimsa/Non violenza. L’ecologia deriva da Ahimsa;
Il Dharma riguarda le persone in base al ruolo che l’uomo asusme nella società. Se sei un religioso, hai regole diverse da quelle di un guerriero. Se noi realizziamo il Suadharma, saremo soddisfatti a prescindere dal ruolo che abbiamo nella soceità;
Luogo- Tempo -Circostanza: le virtù assumoni sfumature diverse in base a questi elementi. La verità non è infatti rigida, ma deve adattarsi alla situazione;
Ci sono quattro scopi nell’Induismo: il Dharma è la stella polare di tutti gli scopi e deve regolare anche Artha/Sostentamento: ciò che ci serve per vivere in questa vita; Kama/Desiderio: se non siamo guidati dal Dharma, diventeremo schiavi del vizio; Moksha/Liberazione: è il fine dei praticanti, liberarsi dai vincoli e dai condizionamenti. Tutte le pratiche induiste servono a provare libertà dal possesso. In questo modo non saremo condizionati. Seva / Servizio disinteressato: “Chi fa il bene non sa di fare il bene”, infatti non bisogna attaccarsi al frutto del bene che stiamo facendo. Bisogna agire senza metterci dentro l’Ego.
“Tutto il mondo è una grande famiglia”, ecco perché dobbiamo essere tutti uniti.
Yoga, Ayurveda, Sankya, Vedanta ci aiutano nel nostro percorso.
Annamaria Zin, insegnante di Qi Gong – “Le Virtù del Taoismo”:
Il testo base è il Tao Te Ching. La virtù è qualcosa di benevolo, che viene dal cuore (Te) ed è qualcosa di salutare (ha poteri di guarigione), è magico, potente (può attivare le nostre potenzialità nascolste, che altrimenti potrebbero restare latenti) e lo hanno tutti, basta attivarlo, per esempio attraverso il Tao;
Il Tao mostra il mutamento e il fluire, nonché l’unione e l’influenza reciproca tra uomo-cielo-terra. Poiché partiamo tutti dall’Uno, poi 2 (Yin-Yang), 3, ecc;
Importante è percepire quwsta unione con tutto ciò che è dentro, fuori, sotto e sopra di noi, attraverso gli esercizi. Lao Tzu parla del Tao, ma c’è qualcosa di inconoscibile, che ci arriva attraverso l’intuizione.
Prof. Alberto Severi, filosofo simbolista -”I tre pilastri dello Yoga per raggiungere la felicità”:
Ci parla di Padre Anthony, che nel 2011 ha lasciato il suo corpo, ma in vita ha scritto molti libri, tra cui “Comprensione interreligiosa”;
Baghvadad Gita è un capitolo di uno dei più grandi poemi epici induisti, il Matabarata. Il VI capitolo è la storia di una battaglia, in realtà, una rappresentazione della battaglia interiore che noi compiamo nel corso della nostra vita;
Ci sono diversi modi per accedere alla spiritualità, tra cui amore devozionale (Bakti) o la conoscenza (Gnostica, attraverso lo studio e l’intuizione). Sono una dualità, ma c’è un terzo modo: Bhakti, Joga Jnana (Conoscenza) e Karma yoga (Azione). Allora, come ci si comporta? Jnana Yoga è la Gnosi, la conoscenza per arrivare al Divino. È necessario però anche il Bhakti Yoga, perché bisogna avere devizione: Dio è dentro di noi, è lì che dobbiamo cercarlo e il modo migliore per arrivarci è attraverso la meditazione. Il Sè è differente dall’Ego, il Sè è quella particella divina che ci porta a non vedere solo noi, ma tutti, il mondo intero, il nostro Sè è il mondo intero. Dunque le tre virtù yoga sono un treppiede essenziale, poiché se usiamo solo Jnana saremo sapienti ma freddi. Se usiamo solo Bhakti saremo solo dei baciabanchi, ovvero crederemo solo a qualcosa che è esterno a noi, quando in realtà è dentro di noi. Se, infine, lavorassimo solo su Karma Yoga, ci dimenticheremmo completamente perchè facciamo la ricerca;
Yoga sigifica unire. È qualcosa che ci spinge a diventare Uno col Divino. Quindi studiare per capire cosa stiamo facendo. Secondo: agire in modo disinteressato. Quindi lavorare per mantenerci, ma per il resto agire per il bene altrui. Terzo: la meditazione, per entrare nel nostro cuore. Tutte queste cose devono essere fatte per raggiungere il proprio Sè.
Per contattare SconfinataMente, registrarsi alla mailing-list e tenere sott’occhio i loro programmi, ecco a voi i contatti:
Ho partecipato con vivo
interesse alla presentazione di un nuovo progetto scolastico e
comunitario nella mia città, Gorizia. Ero a conoscenza di realtà
alternative al sistema scolastico tradizionale, come le scuole
Montessori e Waldorf (sistema Steineriano). Sapevo anche che c’era
l’opzione dell’Home-Schooling, ovvero dell’insegnamento da casa per
il proprio figlio, o un gruppo di bambini. Eppure non avevo mai
sentito parlare prima di Scuola Democratica o di Home-Schooling
“esteso”. Potete quindi immaginare la curiosità con la quale ho
partecipato all’evento, essendo anche madre di un bambino di quasi
cinque anni.
L’incontro si è svolto
all’interno del Trgovski Dom di Corso Verdi, alle 17:00 ed è stato
organizzato molto bene, perché le tre compagne di avventura,
Barbara, Irina e Michela, si sono succedute l’una all’altra,
raccontando ognuna la sua esperienza di vita, il suo percorso di
donna, e madre e presentando una porzione del progetto. Tutto molto
chiaro e coinvolgente. Vi presento il loro progetto così come l’ho
trascritto.
Barbara è presidente
dell’associazione e ha tre figli. A vent’anni ha cominciato a nutrire
una grande passione per la potenzialità dell’uomo e ha conosciuto
persone che, come lei, guardavano nella stessa direzione. Si è
iscritta a un corso di Anthony Robbins, uno dei motivatori più
famosi della Riprogrammazione Neuro Linguistica (PNL), che insegna
come usare le nostre risorse interiori. Terminati gli studi, si è
iscritta alla scuola di coach e, in quel momento, è diventata mamma.
Ha abbandonato il corso per dedicarsi al primo figlio. Così,
dall’adulto, la sua attenzione si è spostata verso suo figlio, un
bambino e il suo mondo. In lei è cresciuto il desiderio di
approfondire la conoscenza di quella dimensione. Ha avuto altri due
figli e li ha iscritti all’asilo Waldorf, prima in zona e poi in
Brasile, dove si è trasferita con la famiglia per due anni. Al
ritorno in Italia, ha riportato i figli alla Waldorf, ma si è resa
conto che la scuola non rispondeva più alle sue esigenze. Si immerse
allora ulteriori approfondimenti, tra cui la possibilità di non
mandare i figli a scuola: la scuola pubblica è offerta dallo Stato,
ma i genitori sono liberi di sostituirsi a essa.
Barbara illustra il
pensiero di Sir Ken Robinson, Consigliere internazionale
sull’educazione per i governi e le istituzioni no-profit, secondo il
quale esiste un luogo dentro la nostra anima in cui le cose che
amiamo e quelle che siamo bravi a fare si incontrano. Questo luogo è
chiamato l’Elemento. E’ essenziale che ciascuno di noi nel corso
della vita trovi il proprio Elemento e riesca a esprimere appeno
talento e creatività. Ciascuno di noi nasce con delle capacità
naturali straordinarie con cui perdiamo contatto man mano che
cresciamo. Uno dei motivi per cui questo accade è l’istruzione che
riceviamo. Il sistema scolastico attuale sembra fatto apposta per
soffocare la nostra creatività e il risultato è che la maggior
parte di noi non si renderà mai conto delle proprie capacità e di
ciò che potrebbe fare. E questo rappresenta non solo una fonte di
sofferenza e frustrazione, ma soprattutto una grande perdita per il
futuro del mondo in cui viviamo.
Irina è nata e ha
trascorso l’infanzia e la gioventù in Russia. Dopo la laurea in
lingue all’università va a vivere in Slovenia, dove per 10 anni
lavora come traduttrice e insegnante delle lingue. Quando si
trasferisce in Italia e quando le nasce la figlia, comincia un nuovo
percorso di vita. Dedicandosi alla crescita armoniosa della bambina,
insieme al marito, cerca le soluzioni migliori per farle vivere
un’infanzia felice. Avendo i dubbi riguardo alla scuola pubblica e
sapendo che la bambina non vuole andarci, lei e il marito scelgono
per la figlia l’educazione parentale. La bambina trascorre quindi
il suo tempo, dai 6 ai 9 anni, dedicandosi a quello che le interessa
e l’appassiona: impara a leggere e scrivere (in tre lingue) e a fare
i conti da sola, avendo al suo fianco i genitori, sempre pronti ad
accompagnarla nei suoi interessi e spiegarle le cose verso le quali
prova l’interesse, tutto con i suoi tempi e ritmi.
Facendo parte
dell’associazione delle famiglie russe, Irina e le sue amiche
realizzano a Gorizia il progetto teatrale per bambini, rivolto
all’inizio alla comunità russa in FVG e qualche anno dopo a tutta
la cittadinanza, co-creando quindi gli spettacoli musicali e
interattivi sia in russo che in italiano.
Irina diventa Servente
del Gioco del Dipingere nel 2016 dopo aver fatto il corso di
formazione con Arno Stern e propone questa attività ludica dal 2017
nel laboratorio di pittura “L’Isola della Traccia – Il Closlieu
di Irina”.
Irina e Barbara hanno
testato dunque tre anni di Home-Schooling con i figli e hanno capito
che ai bambini servirebbe un gruppo dove possono stare lontano dai
genitori, con altri bambini, ma dove ognuno di loro viene messo al
centro.
Quando Irina ha
incontrato Michela, assieme a Barbara hanno deciso di realizzare
questo progetto per i bambini.
Michela è la fondatrice
di questa Scuola. È una psicologa specializzata in Counseling.
Faceva formazione e consulenza in azienda per temi come: relazione
col cliente, gestione dello stress, ecc, tutto a fini di benessere ed
ecologia. A un certo punto, ha rincontrato la scuola attraverso le
due figlie e poi come insegnante per ragazzi adolescenti, nel corso
di un’esperienza bellissima, che l’ha molto gratificata. Unendo tutte
queste competenze ed esperienze, Michela ha realizzato che la
relazione che c’è tra l’adulto e il bambino in crescita, e anche tra
gli adulti educanti, è essenziale. Infatti, tutti questi tipi di
relazione possono creare un ambiente armonioso, oppure stressante.
Possono favorire l’entusiasmo, così come lo possono annientare.
Dunque, approcciarsi in un certo modo ai bambini e tra adulti fa la
differenza.
Poi è successo che Michela si è ammalata e ha iniziato a lavorare sulla propria malattia, giungendo alla conclusione che ci si ammala spesso per problemi che si hanno nel tempo presente, ma che talvolta affondano nel passato, addirittura nello stato prenatale. Sono come “buchi” che operano sconquassi dentro di noi. Da questa presa di coscienza è nata la sua volontà di creare per il bambino un ambiente accogliente, ecologico, tale da farlo diventare un adulto armonico e sano sotto ogni aspetto.
Quindi, tre strade, tre vite diverse si sono incrociate. È avvenuto uno scambio, anche bibliografico, di informazioni:
Secondo Sir Ken Robinson,
ciascuno di noi nasce con delle abilità straordinarie, ma può
succedere, anche a causa del sistema scolastico attuale, che non
riusciamo a comprendere qual è il nostro talento, perché viene
soffocato. Secondo lui, l’incontro tra la nostra mente e la nostra
anima fa emergere il nostro talento ed è questo il fine della Scuola
7 Raggi.
Per fortuna, esistono già
realtà in cui ai bambini è permesso di vivere e di imparare a
sviluppare i propri talenti:
Scuola Democratica,
Summerhill (Inghilterra), fondata da Alexander Niell nel 1929;
Sudbury Valley
School, Framingham, MA (USA);
Kapriole, Friburgo
(Germania.
In queste scuole l’alunno
e la sua personalità vengono messi al centro, non la materia
scolastica. È infatti l’alunno che decide cosa vuole imparare. La
prassi pedagogica si basa su diversi sistemi: Montessori, Rebeca e
Mauricio Wild, A.S. Neill, ecc.
Queste sono realtà
extra-italiane, ma anche qui ci sono:
Scuola-Città
Pestalozzi, Firenze;
Fondazione Reggio
Children, Centro Loris Malaguzzi;
Scuola Democratica
Flow Alc, Vicenza;
Scuola Montessori
Capriolo, Brescia (che contiene Closlieu, il gioco del dipingere,
che vedremo più avanti);
Colibrì, la scuola
attiva dal 3 a 16 anni, di Sesto al Reghena (PN), creata da una
tedesca come educazione parentale fino alle medie;
Serendipità,
Scuola-Comunità, Osimo (AN) di Emily Mignanelli, una pedagogista
affermata che ha deciso di dedicare la sua vita ai bambini. La sua
scuola è quella che più corrisponde al nostro modello e con lei,
infatti, Barbara, Irina e Michela hanno un contatto continuo. Emily
lavora con bambini, adulti e famiglie, perché è certa che le
famiglie debbano essere totalmente consapevoli dell’educazione del
bambino attraverso la competenza pedagogica, psicologica e
neuroscientifica.
L’associazione 7 Raggi
nasce attraverso tutti questi passaggi. Il progetto si rivolgerà a
tutti, tutta la comunità è infatti in un cammino di crescita ed
evoluzione continua, dal bambino all’adulto.
Le Life Skills sono un insieme di abilità e competenze necessari all’uomo per vivere la propria vita nel benessere e nel successo interiore. Sono abilità essenziali da apprendere fin da piccoli e anche la sanità mondiale è d’accordo con i loro fini:
Per svilupparle, esse
vanno proposte in tutti gli ambienti nei quali vive il bambino, non
solo in quello familiare, ma anche in quello scolastico.
Il neuroscienziato Gardner scrive che, un tempo, si credeva che chi aveva delle capacità linguistiche e matematiche, fosse più intelligente rispetto agli altri. In realtà, lui è convinto che ognuno di noi possegga ben 9 tipi di intelligenza e quindi al bambino deve essere offerta la possibilità di svilupparli tutti affinchè, a un certo punto, ne emergano uno o più in particolare.
Nel progetto scolastico 7
Raggi, le caratteristiche fondamentali sono:
Formazione degli
insegnanti;
Il lavoro con le
famiglie;
La metodologia
organizzativa e gestionale di studio: la scuola non avrà un solo
metodo, ma diversi, perché gli strumenti a disposizione sono tanti.
Si vuole partire dal bambino perché sarà lui a mostrare quale sarà
il metodo migliore per lui.
Un’altra cosa fondamentale, per i bambini, è il gioco libero. Spesso succede di interrompere il gioco di nostro figlio, perché siamo di corsa, o secondo noi quel gioco non è importante. È sbagliato: i bambini apprendono attraverso il gioco, proprio come in natura accade ai cuccioli degli animali. I bambini di oggi, inoltre, hanno poche possibilità di giocare nel cortile, o per strada, come facevamo noi, per esempio. Per fortuna, in alcuni paesi si trovano bellissimi cartelli con la scritta: “Attenzione. Rallentare: in questo paese i bambini giocano ancora per strada”.
Ultimamente Andrè Stern
ha illustrato come i neuroscienziati, fino a pochi anni fa,
ritenessero che l’intelligenza si tramandasse attraverso i geni,
mentre oggi si è compreso, attraverso l’epigenetica, che è l’uso
che facciamo del nostro cervello a renderci intelligenti, o meno. È
attraverso l’entusiasmo che i bambini imparano meglio: l’entusiasmo
li fa volare, fa far loro cose straordinarie.
“Imparare non è
qualcosa che facciamo, ma qualcosa che succede”. Il nostro cervello
non è un magazzino per nozioni, bensì è strutturato in maniera
tale da trovare soluzioni ai problemi. Allora sì che l’intelligenza
galoppa e si sviluppa. Tant’è che ciascuno di noi ricorda oggi della
scuola principalmente ciò che lo emozionava ed entusiasmava.
L’entusiasmo è il
segreto ingrediente dell’apprendimento. Un input che viene compreso
solo quando i nostri circuiti emozionali sono attivati. E come si
attivano?
Col gioco libero;
Il gioco del Dipingere.
Arno
Stern oggi ha 95 anni, e da 70 anni è Servente del Gioco del
Dipingere. È considerato il primo esperto dell’Educazione
Creatric. Osservando i bambini, i ragazzi e gli adulti dipingere e
disegnare spontaneamente, senza un obiettivo da raggiungere, senza un
maestro, senza valutazione e giudizi, ha scoperto che tutti gli
esseri umani, indipendentemente dalla razza, dal sesso, dalle
condizioni di vita, dal luogo dove vivono, dall’età,
dall’esperienza, dalla cultura e dalle tradizioni, dipingono per il
puro piacere di tracciare, e per il puro piacere di giocare. E la
traccia naturale che rimane sui fogli non appartiene all’arte, non
è una proposta terapeutica, non comunica niente. Tracciando
esprimiamo la nostra memoria organica, ovvero la memoria prenatale
dell’organismo, attraverso la Formulazione, un codice universale,
autonomo e originale, programmato dalla natura. Questa manifestazione
può succedere soltanto nelle condizioni del Closlieu, un luogo
protetto, facendo il Gioco del Dipingere, ideato da Arno Stern. Arno
ha scritto numerosi libri, parlando delle sue scoperte, del Gioco del
Dipingere e del rispetto e della fiducia nel bambino (Felice come un
bambino che dipinge, La Traccia Naturale, Il Gioco del Dipingere,
Homo Vulcanus…).
Irina
vuole portare Il Gioco del Dipingere del Closlieu nel progetto
Comunità-Scuola Evolutiva, perché i valori del Closlieu sono
fondamentali per lo sviluppo armonioso del Bambino di qualsiasi età:
la fiducia nel bambino, l’assenza del giudizio, il rispetto
assoluto verso l’infanzia e verso ogni essere vivente, la
possibilità di (ri)scoprire e realizzare sé stesso in un gruppo di
persone ma senza la competizione.
Andrè
Stern è il figlio di Arno Stern – musicista, liutaio, scrittore,
giornalista, conferenziere- e non è mai andato a scuola. Da anni si
occupa della divulgazione dell’Ecologia d’Infanzia e collabora
con diversi neuroscienziati e biologi per diffondere le nuove
conoscenze riguardo all’infanzia. Il suo libro “Non sono mai
andato a scuola” è tradotto in italiano.
Cosa fanno i Maestri
della Foresta:
coltivano passioni e
vocazione;
studiano e si
formano costantemente;
hanno qualità umane
e morali;
sono disponibili a
lavorare su se stessi.
La ricerca dei maestri è
essenziale per la Scuola 7 Raggi.
I percorsi di questa
scuola sono i seguenti:
– 3-6 anni;
– 6-11 anni;
– 12-18 anni.
Nella Scuola 7 Raggi non
ci saranno voti, ma un evoluzione individuale, quindi
un’autovalutazione e da qui si svilupperanno le Life Skills visti
prima.
Didattica per gli esami:
come preannunciato, ogni anno il bambino sosterrà l’esame
ministeriale presso una scuola pubblica della zona. Perciò noi,
durante l’anno, seguiremo il programma ministeriale, ma in modo
flessibile e individuale.
Parallelamente al percorso dei bambini, verrà data grande attenzione a quello dei genitori. Infatti, il progetto vuole integrarsi nel territorio con attività extra, corsi, incontri con talenti adulti, tutto in base alle richieste dei bambini e dei genitori:
La scuola aprirà nel
comune di Mossa da settembre 2019 e le preiscrizioni saranno attive
già dal 17 giugno al 12 luglio.
Nel corso dell’incontro,
si è molto parlato dell’intento della Scuola, del suo spirito, ma i
dettagli del percorso didattico verranno illustrati individualmente a
ogni genitori richiedente e nel corso di un incontro settembrino.
Per qualsiasi tipo di
richiesta, potete scrivere a:
La
scorsa settimana ho assistito a un incontro speciale presso la
Fondazione Carigo della mia città Gorizia. Il giornalista e
scrittore Federico De Rosa, accompagnato da suo padre Oreste, è
intervenuto per presentarci la sua condizione di ragazzo autistico.
Mi fermo subito: nel titolo di questo posto ci sono due termini: “diversamente abili” e “Autismo” che porterà la maggioranza di voi lettori a passare oltre, per scegliere un altro argomento. Non è colpa vostra, non del tutto, almeno. Esiste ancora un forte pregiudizio su queste realtà e ve lo dico io stessa che, confesso, a primo impatto mi sono sentita a disagio davanti a De Rosa. Il suo modo di muoversi, i suoi spasmi, certi versi, mi inducevano alla fuga. Una specie di reazione istintiva. Mentre provavo questa emozione così strana per me, che nella vita non sono mai fuggita da niente, mi domandavo: “perché reagisci così? Non lo conosci neppure. Sei qui per imparare qualcosa di nuovo. Ti sei mai fermata davanti all’apparenza? No, e allora perché adesso vorresti andartene, o guardare altrove?” Mi sono data della stupida e ho sollevato lo sguardo. L’incontro è cominciato e, alla sua conclusione, mi sono sentita commossa e grata. Commossa perché l’apertura dell’anima di Federico, la sua generosità nel spiegarsi e nel voler aiutare gli altri, sia i ragazzi affetti da autismo, sia noi neurotipici, è illimitata e incondizionata. Grata perché ha detto delle cose che mi hanno fatta vergognare per il 98% di noi neurotipici. La profondità dell’anima di questo ragazzo ha pochi paragoni e lo posso affermare con certezza, perché io di gente ne conosco tanta.
Perciò,
se volete mantenere saldi i vostri pregiudizi, “proteggervi” da
quello che non conoscete e non uscire dalla vostra zona di conforto,
passate oltre. Se, invece, come me amate la conoscenza e l’altro,
rimanete e stupitevi come ho fatto io, perché vi si schiuderà un
mondo poco noto, ma dal quale si possono estrarre tesori che, nella
vita quotidiana, sono preclusi alla maggioranza.
Tuttavia conosco le vostre resistenze. Facciamo un gioco, allora: vi propongo di leggere solo le parti scritte in grassetto. Sono le parole di Federico De Rosa. Se vi stupiscono come è successo a me, mi promettete di leggere tutto il post? Pronti? Via!
Federico e Oreste De Rosa, Prof. Fabio Sesti
L’incontro è cominciato con un lungo intervento del Prof. Fabio Sesti, presidente di “Diritto di parola”, un’associazione di volontariato che opera sul territorio da più di dieci anni per favorire l’emancipazione e l’autonomia delle persone con varie difficoltà di comunicazione, grazie all’idea che la diversità permea un po’ tutta la società. Secondo i soci e i volontari, infatti, il grado di evoluzione della società si misura dall’inclusione, dalla volontà di non lasciare indietro nessuno. Ci sono diversi ostacoli, anche quello culturale e scientifico: un tempo, le persone disabili erano classificate come handicappate, ritardate e subnormali, mentre oggi il linguaggio ha subito una modificazione causata dalla sensibilità. Tuttavia c’è ancora una lunga strada da fare. Fino a pochi decenni fa, persone come Federico erano invisibili, perché chiuse in istituti. Progressivamente sono entrate in società, ma ancora oggi permane l’idea che debbano essere “interpretate”. Ci sovrapponiamo a loro. Facciamo in modo di soddisfare i loro bisogni. “Non capisce”, pensiamo. In realtà, la diversità di certe persone non è una malattia (che è degenerativa), ma è un modo di essere. Può essere geneticamente connaturato, ci sono varie ragioni. Sono persone diverse, esattamente come noi neurotipici siamo uno diverso dall’altro. Quindi c’è la necessità di aggiornare la cultura e la società in merito a queste riflessioni, perché il nostro filtro culturale è pesantissimo e dobbiamo superarlo: in una società interagente non si corregge nessuno, ma si offre la possibilità di essere tutti alla pari. Anche perché una simile società, dotata di accoglienza, ci fa stare bene insieme.
L’associazione
promuove l’idea di comunicare con loro alla pari, lasciandoli
esprimere liberamente e per questo vogliono trovare tutti gli
strumenti possibili affinché questo dialogo scorra in modo fluido e
continuo.
L’associazione stampa una rivista, “Dadi Esagonali”. Il nome è strano, si tratta di una figura geometrica impossibile. Il suo inventore, uno dei redattori, lo ha scelto per la complessità dei pensieri delle persone diversamente abili, pensieri diversi da noi neurotipici, ma capaci di apportare benessere a tutto il genere umano. Il giornalismo del giornale è strutturato in modo tale da abbassare il chiacchiericcio che si legge sulle testate famose, è meno litigioso, ma si concentra sulle riflessioni di temi importanti, come la ricchezza umana. Tende a mostrare cosa si può fare quando non si ha l’uso della parola vocale. Di solito, in riferimento alle persone diversamente abili si dice: “Non hanno una capacità di verbalizzazione”, ma usare il verbum non è la prima qualità umana, ce ne sono tante altre.
Oreste
De Rosa è il papà di Federico, un giornalista e scrittore romani di
venticinque anni che è anche autistico. Oreste ci ha spiegato che
Federico è il suo terzo figlio. Entrò nella famiglia come una
mazzata su un tavolo di cristallo, perché la sua condizione devastò
la famiglia. Per dieci anni, Oreste ha cercato di strappare Federico
all’autismo, di farlo diventare “normale”, ma il bambino
peggiorava. Chi è nato autistico, rimane autistico, perché non è
una malattia, ma un modo di essere. Ai quattordici anni di Federico,
il padre avverte un cambiamento e dice al figlio: “Fammi diventare
come te, mostrami come è essere autistici”. Federico ha iniziato a
scrivere a computer e spiega al padre la sua iposensibilità (sentire
amore per i piccoli profumi, le esperienze nei boschi), gli
ha trasmesso la contentezza basica: nel suo mondo, quello che è
importante è volersi bene con chi gli sta vicino, mangiare bene,
andare alle terme e stare immersi nel silenzio.
Ha anche scritto al padre: “Il silenzio ha un grande
potere per conoscere. Se sei solo conosci te stesso, se sei con gli
altri, nel silenzio conosci l’altro”.
Perciò
se pensiamo che l’autismo ha dei valori, allora lo vivremo in modo
armonioso, ma devi crederci. Se non ci credi, non verrà mai fuori.
Se tu vuoi far diventare un ragazzo autistico come te, non
funzionerà. Se lo capirai e lo farai esprimere per quello che è,
fiorirà.
Oggi
Federico ha due professioni, gira l’Italia e il mondo, ha venduto
11000 copie dei suoi libri (“L’isola di noi. Guida al paese
dell’autismo”, “Quello che non ho mai detto. Io, il mio autismo e
ciò in cui credo” di San Paolo Edizioni).
Ognuno
di noi ha un handicap e diverse abilità. Se cerchiamo nell’altro il
diversamente felice, lo troveremo. C’è una frase del Buddha che
dice: “La mente è tutto: tu diventi ciò che pensi”. E’
perfetto.
Federico
ha commentato: “Forte papà. È il Lenin dell’autismo”.
Oreste
ci ha spiegato anche l’ipersensibilità di alcune forme di autismo:
se il figlio viene avvisato dell’arrivo imminente di un rumore, lo
può gestire, ma sono i rumori improvvisi a spaventarlo, a
infastidirlo. Quando il padre gli chiese quale fosse il posto più
difficile per lui, Federico gli rispose: la stazione di Roma
Tiburtina. In generale, in città fa fatica a dormire, perché ci
sono tantissimi rumori e spesso improvvisi, che noi neurotipici
filtriamo, lui no.
Anche
quando si parla con lui, bisogna farlo piano e scandendo bene le
parole, ma senza esagerare, infilandoci un “ok”, ogni tanto.
Domanda
a Federico: Che musica ti piace?
Federico:
“Sì, mi piace il Boogie Woogie. Adoro Championi Jack Dupree. Adoro
il piano suonato come uno strumento più percussivo che armonico”.
Soffrono
non avendo amici?
Oreste
spiega che hanno un diverso modo di intendere la socialità. Prima di
tutto, hanno bisogno di un equilibrio tra la parte della solitudine
(che vogliono) e la socializzazione. E’ necessario, da genitori,
aiutarlo a stare con i compagni di scuola, far capire ai ragazzi
cos’è l’autismo, perché questo Federico, per esempio, non può
farlo da solo, in quanto non possiede capacità organizzative. Lo fai
tu, padre, genitori, poi lo lasci andare.
È importante fare il padre, soprattutto dai quattordici anni in su. Oreste e Federico vanno in montagna, fanno lunghe camminate, spesso nel silenzio assoluto. Poi giocano tanto a bowling.
Domanda
a Federico: Come hai imparato a non essere impacciato in pubblico?
Federico:
“Non lo so. Sono tanti anni che lo faccio. All’inizio era
difficile, poi si impara”.
Come
hanno fatto a superare certi blocchi?
Oreste
spiega che Federico gli ha mostrato come, ogni tanto, il suo cervello
parte e vada in loop. Quindi si va per tentativi. Gli autistici hanno
le stereotipie: bisogna tentare con una, due, mille frasi. Se una
funziona tre volte di fila, si capisce che si è creato un solco,
ovvero una stereotipia che caccia un’altra stereotipia.
Domanda a Federico:
Quali sono le cose che un genitori può fare per rendere felice un
figlio autistico?
Federico: “Credere
nelle nostre capacità. Credere nel valore dell’autismo. La fiducia
un figlio la respira con il cuore”.
Domanda a Federico:
Quali difficoltà hai avuto a scuola?
Federico: “Il fiero
orgoglio neurotipico di gran parte della scuola. Da una scuola per
tutti dobbiamo passare a una scuola per ciascuno”.
La
loro percezione è fatta di dettagli. Non comprendono l’insieme, o
faticano a farlo.
Domanda a Federico:
Sei andato all’università?
Federico: “No. Non
amo il sapere neurotipico. Troppo compilativo delle scoperte dei
secoli precedenti. È chiuso alla dimensione del mistero e
dell’assurdo. Modifica l’intuizione e l’intraprendenza”.
Domanda a Federico: A
che età hai cominciato ad avere consapevolezza di te e a porti degli
obiettivi: voglio andare al bosco, piuttosto che al ristorante?
Federico: “Da
piccolissimo avevo tutto in testa e non riuscivo a dirlo”.
Oreste ricorda che, quando Federico aveva quattro o cinque anni, si è avvicinato a lui e gli ha detto: “Molto più intelligente di quello che pensi”. Non pensiamo mai che gli atipici possano avere un mondo dentro.
Perché verso i quattordici anni gli autistici “migliorano”?
Federico ha spiegato al padre che, dentro la loro mente, durante l’infanzia, hanno una grande nebbia. Verso l’adolescenza, a forza di stare con i neurotipici, imparano da loro, sebbene spesso gli autistici li evitino, perché infastiditi dai loro comportamenti e dalle loro “prove”.
Il problema, spiega
Oreste, è che gli autistici fuggono dentro di sé. Siamo noi a dover
trovare il modo per portarli fuori. In casa abbiamo un dogma: “Ogni
giorno una cosa nuova”. Provate. Se si fa così, loro prendono
fiducia e capiscono che possono vivere anche fuori da sé. Quindi il
consiglio di Oreste è di indurli a imparare l’autonomia, una al
giorno, magari aiutati all’inizio. Sarà spesso un disastro, ma
bisogna perseverare e riconoscergli i passi avanti fatti, magari con
frasi chiare: “Vedi che sei stato in grado di farlo?” Bisogna
smantellare il concetto che l’autismo è impossibile da affrontare.
Federico:
“Se non credono in Federico, peggio per loro. Io non ho
tempo da perdere con le paure neurotipiche. Ho tanti fratelli
autistici che soffrono e devo correre ad aiutarli. Costruire la
società della piena integrazione. Ma non lo vedete che ce la stiamo
già facendo? Manca poco. Un futuro felici ci attende tutti, io ci
credo. Posso contare su di voi?”
Domanda
a Federico: Cosa significa per te essere felice?
Federico:
“Maturare la consapevolezza che l’altro è un altro da me. La
felicità è figlia della parola insieme”.
Domanda
a Federico: E’ vero che la felicità è sentirsi socialmente
accettato?
Federico:
“Molto bene. Io faccio così. Integro più di tutti chi
mi esclude. Vado un po’ a caccia di chi mi umilia. Chi ti esclude mai
immagina che tu lo accogli. È destabilizzante e apre a un
opportunità di cambiamento”.
Credo
che io non debba aggiungere altro. Federico ha detto tutto.
No, forse una cosa la devo aggiungere: condividete questo post dappertutto. In tempi come questi, dove l’esclusione e le paure stanno diventando endemiche e trasversali, Federico ci induce a riflettere profondamente sul valore dell’inclusione e dell’amore tra esseri umani. Ci insegna ad aprirci, non a chiuderci. Ci insegna il potere della volontà, a noi, che ci stressiamo per la coda in autostrada, o in posta. La sua profondità è una potente medicina per ciascuno di noi.