Magari l’argomento non stava in cima
alla lista delle mie preferenze ma, buon Dio, questa saggista riesce
sempre a sorprendermi! I contenuti dei suoi libri sono ineccepibili,
frutto di una ricerca seria e approfondita e, soprattutto, di una
passione che esce dalla pagine in modo potente e ti travolge.
L’introduzione riporta la citazione di
una delle mie scrittrici più amate: Isabel Allende.
“Le streghe, come le sante, sono
stelle solitarie che brillano di luce propria, non dipendono da nulla
e da nessuno, perciò non hanno paura e possono lanciarsi alla cieca
nell’abisso con la certezza che, invece di schiantarsi, spiccheranno
il volo”.
Troppo fantasioso? Letterario? Niente
affatto, a giudicare dalle storie di sante vere, raccontate da
Maderna. Infatti, uno dei molti punti in comune tra una strega e una
santa è la disobbedienza: se le streghe sono donne libere, o che
almeno tentano di ribellarsi a una religione patriarcale che le
schiaccia, le sante non sono da meno. Possono assoggettarsi a
determinati doveri, come quelli coniugali, ma nel profondo e nel
quotidiano, agiscono mosse da una fede e da una volontà ferree.
La donne che entravano in convento, per
esempio, anziché andare in spose, sfuggivano al controllo di un uomo
e potevano approfondire studi erboristici, medici, teologici,
addirittura astronomici. Il convento, dunque, non come prigione e
privazione della libertà ma, per quegli spiriti dediti alla
conoscenza e allo studio, ingresso principale verso la piena presa di
coscienza dell’essere uomo e donna, del corpo e delle sue funzioni,
della spiritualità più alta e della compassione autentica.
Cosa ci fa sentire spesso alieni rispetto alle suore e alle badesse? L’idea della loro vita dimessa, votata alla clausura, alla preghiera. Ebbene, grazie a questo saggio possiamo cambiare idea: i conventi diventano biblioteche ricchissime, tempi di conoscenza e ricoveri per persone bisognose, reietti, lebbrosi e malati di ogni genere. Le spose di Cristo sono le loro protettrici, infermiere e medichesse, curano i loro corpi, ma anche lo spirito. Le preghiere rimangono, ma c’è anche l’azione, il “fare la differenza” in modo concreto, fattore che mi ha stupita in modo positivo. L’uomo sovente distrugge e uccide. La donna dà la vita e cura. Le suore non hanno figli, ma pongono rimedio alla violenza sempiterna dell’uomo.
E’ un saggio da leggere con calma,
prendendosi del tempo per riflettere su alcuni suoi passaggi e sulla
vita di sante che conosciamo, come Agata e Lucia, la somma Ildegarda
di Bingen e altre meno note, come Radegonda di Poitiers e la
straordinaria Elisabetta d’Ungheria, la Carità personificata, morta
giovanissima dopo una vita totalmente dedicata alla propria famiglia
e ai bisognosi.
Ho un vero debole per la casa editrice Minimum Fax. Non tanto per i romanzi che edita, ma per i saggi. Autentiche perle, pietre miliari che rimarranno a lungo sugli scaffali delle librerie -quelle con la “L” maiuscola- e nelle case degli scrittori, degli intellettuali e degli appassionati.
Un esempio di libro “che
rimane” è proprio quello che sto per recensire ora: una lunga
conversazione tra Carlo Mazza Galanti e due scrittori contemporanei
italiani che, secondo la rivista letteraria “Orlando esplorazioni”,
rimarranno nel futuro canone italiano. Forse alcuni di voi non hanno
mai sentito parlare di questo giornale e allora vi consiglio di
rimediare, ma resta il fatto che, per mettere in cima a questa
classifica Michele Mari, Walter Siti e Antonio Moresco, sono stati
intervistati cento specialisti -redattori, editor, dottorandi, ecc-.
Potete credere o meno a tali giudizi ma, se stimolano la vostra
curiosità, vi invito a leggere i due scrittori o, almeno, questo
piccolo e prezioso volume, nel quale entrambi si confessano
illustrando parte della genesi delle loro opere, i testi sui quali si
sono formati e il perché dei generi da loro scelti: il fantastico di
Mari e il realismo di Siti.
Lo trovo un libro utile anche dal punto di vista pratico, dal momento che i generosi autori snocciolano consigli di scrittura importanti e riflessioni che rimangono in mente a lungo; ho scoperto anche dei retroscena del mondo dell’editoria e della letteratura che torneranno preziosi in futuro (non me li aspettavo). Dulcis in fundo, ci sono confessioni estremamente divertenti, come quella di Mari:
Sono divertenti per me,
certo, che caratterialmente sono l’opposto dell’autore, ma per
esempio, due persone che conosco si sono perfettamente ritrovate
nella descrizione.
Insomma, questo libro è
un multi-mondo-letterario e realistico e non posso fare a meno di
consigliarvelo con ardore.
a metà della prossima settimana il mio nuovo romanzo epistolare sarà disponibile nelle librerie e on-line.
Sono molto emozionata per la sua uscita, perché grazie all’editore Qudu, che ha creduto nella trama del romanzo e nella sua particolare forma, sarò in grado di offrirvi un libro speciale. Per la prima volta, infatti, sono riuscita a trasportare su carta il frutto della mia immaginazione, lettere manoscritte incluse.
La storia del romanzo narra le vicende della Prof.ssa Helene Brandi, insegnante di Lettere di un liceo triestino, che subisce una tragedia e si ritrova ad affrontare la vita sola, con un bambino piccolo. I suoi amici e i suoi parenti non le stanno vicino, eccetto il padre, che si occupa del nipote, ma a livello emotivo, Helene si ritrova rinchiusa in una solitudine apparentemente senza uscita. Una notte, tuttavia, una forza interiore la spinge a riaprire lo scrittoio della sua camera da letto e a riprendere la corrispondenza con le sue amiche di penna. Ha inizio, grazie all’epistolario, la sua rinascita interiore. Le sue corrispondenti, infatti, riescono a rimettere insieme i pezzi della sua anima, lettera dopo lettera, e due misteriosi uomini, uno del passato e uno del presente, le offriranno nuovi punti di osservazione.
Il mio romanzo nasce dalla mia passione per le lettere, ma anche dalla visita a una mostra goriziana, “Oltre lo sguardo”, che si svolse a Palazzo Carigo qualche anno fa, e dove ebbi modo di conoscere la vita e le gesta di una fotografa bavarese vissuta tra Otto e Novecento a Gorizia: Helene Hofmann. Fu una donna straordinaria, e il suo spirito aleggia in tutto il romanzo. Capirete il perché leggendolo.
In calce, devo ringraziare fin d’ora i miei compagni di avventura. Naturalmente Patrizia Dughero e Simone Cuva, i miei editori, ma anche Claudio Macrini, Barbara Peteani e Chicca Pg D’Andreamatteo, i lettori della prima bozza del romanzo, che mi hanno elargito preziosi consigli, così come lo scrittore Francesco Boer. L’artista Stefania Bressani ha ispirato il suo omonimo personaggio, una delle corrispondenti di Helene. Infine, voglio abbracciare virtualmente i miei cari amanuensi, che si sono occupati della scrittura delle lettere contenute nel libro: Didì Agostini, Giada Carugati e Roberto Dal Zilio. Siete stati tutti preziosissimi!
Questo post comincia
così, un inno alle donne, un inno al mio genere. La settimana appena
trascorsa è infatti stata all’insegna delle donne: gli ultimi
ritocchi per l’uscita del mio nuovo romanzo “Lettere dai frammenti
dell’anima” (Qudu Editore) e la comunicazione costante con
l’editoressa e poetessa Patrizia Dughero, le mattine con le mie
amiche e mia madre, il pranzo con le compagne di classe delle
elementari e due incontri piuttosto speciali.
Sabato 16 novembre 2019, presso la Sala Civica di Cormons, alle 20:15 si è tenuto lo spettacolo “Cormons Magica”, organizzato dall’Associazione Fulcherio Ungrispach, con testi e le letture curati dal Prof. Roberto Tirelli, Lis Tarpulutis e Pierluigi Pintar, canti e dalle musiche del Corale Fogolâr di Corno di Rosazzo, Evaristo Casonato e Carolina Zanelli.
Ho preso furiosamente appunti durante tutta la sera, poi un’altra donna (!), Monica Devidé, mi ha contattata per offrirmi l’audio di tutto l’incontro, in modo tale da poter scrivere un post generoso per tutti coloro che non sono riusciti a partecipare, e che ho pubblicato sulla mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/ibenandantielestreghedelfriuli/?ref=bookmarks
E’ stata una sera emozionante ed evocativa, anche perché delle streghe e dei benandanti di Cormons, soprattutto delle vittime dell’Inquisizione Lucia e Antonia, mi sono occupata nel mio romanzo “Tempora d’Autunno” (2017), ma questa è la parte che più mi ha colpita al cuore:
“L’uso delle erbe, nel
passato, è stato spesso una nostra prerogativa. Eravamo noi donne a
raccogliere le erbe nei campi e a curare gli orti, a conoscerne le
proprietà per usarle sia a scopi culinari che curativi. Per questo
motivo, fin dall’antichità, siamo considerate maghe, capaci di usare
le erbe per ammaliare e sedurre gli uomini e accusate di usare le
piante per commettere misfatti. Molte di noi sono state considerate
malefiche, dedite ai veleni, ma noi, già nell’antichità, siamo
soprattutto guaritrici, specializzate in quelle affezioni tipiche del
nostro mondo. Da sempre ci siamo occupate di mestruazioni,
gravidanze, parti, aborti, che non potevano riguardare l’universo
maschile, assolutamente escluso dalla nostra sfera. Da sempre siamo
state un essere misterioso e ignoto, capace di dare la vita, ma anche
di diventare una creatura funesta, capace di portare la morte. Questo
nasceva da un mistero che, per molto tempo, ha spaventato gli uomini.
Noi perdiamo il sangue e non moriamo, ma rigeneriamo le nostre forze
vitali e diamo la vita. Per questo motivo fummo considerate creature
facilmente preda del demonio, per cui, o santificavamo la nostra vita
diventando spose e madri esemplari, o dedicavamo noi stesse a Cristo,
nella vita conventuale. Oppure venivamo guardate con sospetto e
additate come megere, soprattutto le donne anziane, che conoscevano
certi arcani, che sapevano dominare, con erbe e rimedi, la vita e la
morte, col tempo vennero accusate di essere streghe, seguaci di
Satana e nemiche della Chiesa Cristiana, perché solo chi ha
familiarità con il demonio può apprendere i misteri della vita.
All’uomo non è dato saperlo. Da allora ci avete chiamate streghe e
ci avete messe al rogo!” (“Le erbe delle streghe nel Medioevo”
di Rossella Omicciolo Valentini)
E per concludere la
settimana, questa notte non riuscivo a dormire. Troppe emozioni,
troppe ispirazioni e riflessioni. Allora ho deciso di vedermi i primi
tre episodi di un nuovo programma della conduttrice e scrittrice
Serena Dandini: “Valorose”, il cui incipit racconta:
“Le donne hanno
fatto la storia dell’umanità in tutti i campi, dalla matematica alla
letteratura, dalla fisica quantistica alla politica, ma non sono nei
libri di storia, non ci sono strade a loro intitolate, tantomeno
statue. Così abbiamo pensato di ricordarle noi”.
La protagonista dimenticata del
Risorgimento: la principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso
E allora non ho dormito più.
Non ho fatto che pensare e ripensare a quanto noi donne siamo forti, resistenti, talentuose, vitali e resilienti e quanto gli uomini -ma anche altre donne dalle capacità minori, o imbruttite dalla corruzione dello spirito del tempo- hanno cercato di annichilirci, sottometterci, condannarci all’oblio e, come leggiamo quotidianamente nei giornali, ucciderci.
Questo non vuole essere
un post del “noi contro loro”, ma solo una semplice
constatazione: che fossimo levatrici o guaritrici di campagna,
streghe o mogli, abbiamo sempre corso dei rischi altissimi, ma
nonostante questo siamo sopravvissute e oggi abbiamo ancora
moltissime battaglie da vincere.
Alle lettrici di questo
blog, auguro lunga vita e, soprattutto, la conoscenza di quello che è
stato, per trasformarlo in benzina utile a lottare in questa
esistenza e raggiungere tutti gli scopi che siamo prefissate.
Scoprire questa straordinaria autrice
britannica è stato davvero importante. La sua è una scrittura
intensa e fluida, magica e profonda. Mi mancava. Pur conoscendo così
tanti autori talentuosi, Towsend Warner è unica, e ve ne potete
accorgere solo leggendola.
In questo romanzo, considerato il suo
capolavoro, si entra nella vita di Laura, una zitella dei primi del
Novecento che, alla morte del padre, si trasferisca dalla sua casa
immersa nella campagna inglese nella dimora londinese del fratello,
trascorrendo anni con la cognata e le nipoti, diventando la pacata e
amorevole zia Lolly.
“La sua mente inseguiva a tentoni
qualcosa che sfuggiva all’esperienza, un qualcosa di rarefatto e
minaccioso, e che tuttavia, per qualche ragione, le era affine; un
qualcosa che si celava in luoghi tetri, evocato dal rumore dell’acqua
che gorgoglia in canali profondi e dal canto sinistro degli uccelli
notturni. Solitudine, desolazione, propensione a far paura, una sorta
di pagana sacralità: queste erano le cose che attiravano i suoi
pensieri lontano dal fuoco che ardeva sereno nel camino”.
Ma Laura continua a vivere nell’inconscio di zia Lolly e basta un evento apparentemente da niente, come la razzia di una bottega colma di prodotti agricoli e fiori profumatissimi, per ridestare la dormiente Laura e farle divorare la silenziosa e remissiva zia Lolly.
“Si inginocchiò tra i fiori e chinò
il viso verso il loro profumo. Per un momento il peso di tutti i suoi
anni infelici sembrò gravarle sul petto fin quasi a schiacciarla a
terra; Laura tremò, comprendendo per la prima volta quanto aveva
sofferto. Un attimo dopo era libera. Era tutto passato, non poteva
più succedere e non era mai successo. Lacrime di gratitudine le
rigarono il volto. A ogni respiro il profumo delle primule entrava in
lei e la affrancava”.
La trasformazione repentina della
protagonista, lascia sgomenti i suoi parenti, ma lei è implacabile e
raggiunge il suo obiettivo: trasferirsi in un’amena località
collinare, sconosciuta ai più, Great Mop. Da qui, riprendere la sua
autentica vita, e si scopre strega, grazie all’incontro con l’amoroso
cacciatore, il diavolo. Ma se pensate che sia un essere orrendo con
le corna, la coda e i piedi caprini, vi sbagliate di grosso, così
come se immaginate che lui la attiri nel suo abbraccio attraverso la
lussuria. Niente di tutto questo.
Il peso e il valore etici e sociali di
questo romanzo, vanno a braccetto con il realismo magico del suo
cuore. Al principio, io stessa ho provato del disappunto, per la
presenza del diavolo in associazione con la stregoneria, memore di
odiosi testi ecclesiastici come il “Malleus Maleficarum”, che
condannò decine di migliaia di eretici, miscredenti, maghi,
guaritrici, levatrici, streghe e presunte tali. Tuttavia, continuando
la lettura del romanzo e giungendo alla sua fine, la natura e la
posizione del diavolo mutano profondamente, non appartengono a quello
sciagurato quadro cristiano.
Insomma, questo è un romanzo
sorprendente e io, come molti altri estimatori di Towsend Warner,
continuo a chiedermi perché l’autrice non sia conosciuta in Italia
come dovrebbe, e perché non tutte le sue opere sono tradotte.
Nell’attesa dello scioglimento di tali dubbi, acquisterò senza
indugi “Il cuore vero” (Adelphi) e “Reami degli Elfi” (Tre
Editori).
Come promesso, questa settimana intervisto la Dottoressa Chiara Pradella, filosofa e scrittrice che, una settimana fa, ha inaugurato in Via Garibaldi 9 a Gorizia il suo studio di Consulenza Filosofica. Un inizio importante: affiancata dal sindaco Rodolfo Ziberna, dal Vicepresidente della Camera di Commercio Gianluca Madriz e dallo psicologo Franco Perazza, la filosofa ha illustrato i suoi prossimi progetti ai presenti e alla stampa. Oggi passa dal nostro blog per raccontarci di più.
La Dott.ssa Chiara Pradella nel suo studio “Lo Ziqqurat”
-Dunque Dottoressa Pradella, come si sente a poco più di una settimana dall’inizio del suo nuovo progetto?
Mi sento molto emozionata
e, a dirla tutta, ancora non mi sembra vero!
Aprire uno studio privato
per aiutare le persone a ritrovare sé stesse e il loro sorriso è un
sogno che ho da quando avevo 15 anni, ovvero dal primo anno al Liceo
delle Scienze Sociali.
La
strada per arrivare fino a qui è stata davvero molto dura, fatta di
tanti anni di studio, volontariato e – nel contempo – presa in carico
di lavori completamente diversi per mantenermi, tanto che quasi non
ci credevo più, all’apertura di un mio studio privato, invece…
Dopo tanto impegno è successo. Mai smettere di inseguire i propri
sogni!
-Vuole parlarci della storia della Consulenza Filosofica, per spiegarla a chi potrebbe esserne digiuno?
Nonostante la Filosofia
sia antica quasi quanto il mondo (va bene, ora non esageriamo, ma
sicuramente antecedente alla psicologia e a Cristo), la Consulenza
Filosofica è una disciplina piuttosto recente, nata in Germania
negli anni ’80 con Gerd B. Achenbach, grazie al quale si è
configurata come “dialogo che cura” (espressione mia), che
aiuta – concretamente – nella risoluzione dei problemi di tutti i
giorni, intervenendo nel mondo reale, delle relazioni.
E’
una pratica che aiuta a riflettere sul proprio modo di vedere le
cose, le persone, sviluppando una visione sul mondo aperta a 360°,
capace di far rientrare entro il suo raggio di veduta tutte le
risorse interne all’individuo (anche quelle che ancora non conosce di
sé), comprese le risposte alle sue difficoltà.
-La filosofia è una materia che affascina moltissime persone, ma certamente nel XXI secolo, così votato alla scienza e alla tecnologia, in tanti potrebbero pensare che sia desueta. Cosa risponderebbe agli scettici?
Quando (molto spesso) mi
fanno questa osservazione mi torna sempre in mente una frase del
filosofo Carlo Michelstaedter, il quale affermava che “Vana cosa
è la filosofia se esce dalla vita – è l’ultima illusione, e
l’ultimo gioco del vecchio rimbambito – è l’ultimo ottimismo che
arresta la vita nel suo glorioso svolgimento verso l’universale”.
Un pensiero così
(espresso per giunta più di 100 anni fa) ci fa pensare come sia
ormai un pregiudizio ritenere la filosofia una disciplina che ha poco
a che fare col mondo. Aristotele stesso (e qui andiamo molto, molto
più indietro nel tempo) la riteneva alla base di tutte le altre
discipline, in quanto ha a che fare con la domanda, con la
riflessione profonda sul senso di ciò che, poi, varierà di
contenuto in contenuto.
Per
dirla con una metafora in termini comuni, mi piace pensare alla
filosofia come una sorta di allenamento (o di prova generale) prima
di una partita importante o di un concerto: un luogo e un momento in
cui ragionare, pensare e sperimentare scelte importanti, decisioni
difficili da prendere, cambiamenti, emozioni, vita.
-E lei, come si è innamorata della filosofia?
E’ stato un vero e
proprio amore a prima vista. Ho cominciato a studiarla al terzo anno
di liceo. Mi ricordo che prima non sapevo nemmeno cosa fosse! Eppure,
appena iniziato il manuale, non sono più riuscita a staccarmene!
Leggevo ovunque e tutto quello che contenevano i vari capitoli, anche
le parti che non era necessario studiare. Mi portavo dietro il libro
anche quando dovevo andare a fare la fila alle poste o se uscivo al
parco per una passeggiata.
-Ci sono delle scuole di pensiero filosofiche che la rispecchiano di più? E sono le stesse che trova utili per l’uomo e la donna contemporanei?
I miei riferimenti fanno
dei grandi salti temporali. Di sicuro la mia guida principale è il
filosofo Socrate, il primo vero “ideatore” del “dialogo
autentico”, colui che interrogava gli interlocutori per far
emergere la loro personale visione delle cose e non quelle
convenzioni imparate a memoria. Diciamo che in qualche modo,
attraverso lo scambio verbale, aiutava le persone ad essere
pienamente sé stesse.
Un
altro importante riferimento è senza dubbio Kant, che ci permette di
capire l’importanza degli altri, della moralità intesa come fare del
bene. Infine, Wittgenstein, Derridà (che ci lasciano la
responsabilità di scoprire cosa si nasconde dietro le cose, i limiti
del linguaggio come limiti del nostro mondo) e Luigi Vero Tarca,
quello che è stato il mio professore all’Università, fautore del
“puro positivo”.
-Ha un’idea di dove si sta dirigendo la filosofia oggi?
Contro ogni pronostico,
sembra si stia facendo sempre più strada nel mondo contemporaneo. Le
persone sono spaventate dalla tecnica, dalle derive a cui può
condurre troppa scienza… E hanno bisogno di ritrovare sé stesse e
il senso della vita.
Allora ricominciano a
interrogarsi, ricercando quei valori che forse hanno perduto, o
magari rimescolando le carte e capendo l’importanza di crearne di
nuovi. Insieme. Un nuovo modo di con-vivere, insomma, e di
con-dividere. Non a caso, sempre più aziende chiedono l’aiuto di un
filosofo per migliorare il proprio operato.
-Torniamo al suo studio di Consulenza Filosofica. Cosa trasmetterà ai suoi pazienti, individualmente?
Prima di tutto mi
piacerebbe che nel mio piccolo spazio trovassero un luogo accogliente
e familiare in cui sentirsi ascoltati e accolti per ciò che sono.
Vorrei riuscissero a sentirsi liberi di esprimersi, di tirare fuori
tutto ciò che gli crea ansia, paura, dolore.
Poi – così come ha fatto
con me, tanti anni fa, la mia consulente Regina – vorrei guidarli nel
riuscire a guardare sempre l’altro lato della medaglia: quello della
gioia, del superamento della difficoltà che parte, innanzitutto,
dalla sua accettazione e – prima ancora – dall’accettazione di sé
stessi, senza rimorsi e sensi di colpa (le assicuro che non è una
cosa facile!).
-Nei quotidiani, ho letto che offrirà anche caffè letterari, conferenze e gruppi di auto-aiuto. Può raccontarci questi progetti così diversificati?
Il bello della filosofia
è che va d’accordo con tutti! Ovvero, dato che facilita l’emergere
di contenuti – ma senza mai imporli – può intervenire in diversi
ambiti, essendo d’aiuto sia in gruppi di lavoro/equipe che in libere
associazioni di persone.
Così,
quello che vorrei fare è innanzitutto far conoscere meglio questa
disciplina, attraverso conferenze con colleghi ed esperti; poi,
aiutare nella sperimentazione della pratica filosofica, attraverso
caffè letterari e incontri. Infine, credo molto nel ruolo dei gruppi
di auto-mutuo-aiuto: un insieme di persone che si riunisce sulla base
di un vissuto, di un’esperienza comune (malattia, lutto, disagio…).
Per questo, vorrei fare rete con le strutture psichiatriche del
territorio e le istituzioni laiche e religiose, al fine di
individuare le difficoltà più diffuse e provare a dare una mano.
-Lei è una giovane donna competente e dinamica. C’è un messaggio che vorrebbe lanciare a chi leggerà questa intervista, e vorrebbe saperne (ancora) di più sulla consulenza filosofica?
Ogni tanto, al Master che
ho frequentato a Ca’ Foscari, ci dicevano che “La Consulenza
Filosofica è il Consultante!”, intendendo dire che la nostra
pratica si basa sul rapporto che instauriamo con chi viene a
chiederci aiuto. Perchè ogni persona – si sa – è unicità e
imprevisto, per cui la Consulenza Filosofica viene a configurarsi
come un’apertura all’altro – che, in fin dei conti, è sempre un
altro io, un altro me stesso (Levinas).
Quando facciamo
consulenza, perciò, non rimaniamo impassibili, e nemmeno
professionisti seduti dietro una scrivania che mettono in pratica
delle teorie, ma ci mettiamo in cammino, anche noi, consultante dopo
consultante, alla scoperta di noi stessi. In un circolo virtuoso che
va da anima ad anima.
Questo è ciò che di più
bello il nostro lavoro possa offrirci!
Diversi anni fa, lessi un articolo sulle sorprendenti capacità del consulente filosofico. In un mondo oberato da ritmi frenetici, spesso disumani, ingiustizie sociali, mancanza di lavoro e solitudine, questa figura professionale offre gli strumenti utili per cercare in sé le risorse e le risposte che permettono al paziente di riappropriarsi di se stesso e scrollarsi di dosso il peso del problema. Perché il problema rimane, ma la sua gravità è direttamente proporzionale allo sguardo con cui esso viene osservato. Dopo quell’articolo, ci è voluto molto tempo prima che mi arrivasse la notizia dell’apertura di un centro di consulenza filosofica proprio nella mia città, Gorizia e non potrei esserne più felice, perché a condurlo è una donna con la vocazione della filosofia e un curriculum importante: la Dott.ssa Chiara Pradella.
Attraverso il dialogo della filosofia, ma anche altre tecniche e discipline -disegno, pittura, musica, gioco e meditazione- la Dott.ssa Pradella si prefigge l’obiettivo di aiutare persone singole, o gruppi, ad affrontare i loro disagi o problemi personali. In Via Garibaldi 9, nello studio “Lo Ziqqurat”, verranno organizzati dei gruppi di auto aiuto su diverse tematiche, e dei Caffè Filosofici, indirizzati anche ad aziende.
In molti si chiederanno perché rivolgersi a un consulente filosofico, anziché a uno psicologo. La risposta che darei io, è che ci sono situazioni personali e conflitti che sono più attinenti alla filosofia e altri alla psicologia, ma il consulente filosofico spiega che le due discipline non si escludono a vicenda, perché si occupano dello stesso soggetto, ovvero l’anima umana e la salute psico-fisica della persona, ma con punti di vista diversi e diverse strade da percorrere.
Lo strumento principale del consulente filosofo è il dialogo: Socrate chiedeva così tante volte “Che cos’è quello che stai dicendo, ciò che esprimi (ecc)?” al suo interlocutore, da portarlo a confondersi e a non riuscire a rispondere. Era una tecnica atta a indurre la persona a guardare profondamente in se stessa, prima di fornire una risposta autentica, non superficiale o di ripiego. Una risposta che (troppo) spesso abbiamo paura di dire e ammettere a noi stessi.
Sono molto soddisfatta di
questa nuova opportunità offerta alla mia città e alla sua gente.
Nelle grandi città come Milano e Roma, non manca niente, invece
nelle cittadine più piccole, spesso non arrivano possibilità come
queste e auspico che le persone ne siano consapevoli, e premino la
loro promotrice, che intervisterò la prossima settimana.
Ogni tanto mi concedo
libri che posso usare come manuale pratico per una delle mie
passioni: l’ecologia e, in generale, la cura della Madre Terra. Il
prof. Andrea Segrè ha scritto davvero un libro prezioso, in tal
senso, e lo consiglio a tutti, anche a coloro che già si sentono dei
virtuosi guerrieri della terra, perché si occupano in modo corretto
di smaltimento dei rifiuti e acquistano solo ciò che possono
consumare.
Non è sufficiente. Non
lo è perché Segrè spiega quanto cibo sprechiamo, spesso senza
neppure accorgercene. In un mondo dove bisogna stare attenti a come e
quanto si spende, a causa della crisi economica che colpisce la
maggioranza della popolazione, l’autore consiglia come risparmiare in
modo intelligente ed ecologico, sia attraverso l’attenzione
all’acquisto, sia grazie alla rielaborazione degli avanzi. I nostri
nonni sapevano quanto fosse doveroso non gettare niente, ma nel corso
degli ultimi decenni, noi nipoti ci siamo ammorbiditi in modo
eccessivo e decisamente vergognoso. C’è stato un boom economico
negli anni ’80 che ci ha resi, magari inconsapevolmente, ciechi di
fronte alla dovere di consumare il giusto.
Cosa è il giusto? Vi
faccio un esempio personale. Da circa un anno, ho iniziato una dieta
ayurvedica -iper-personalizzata in base al cibo a km zero e
stagionale- che mi ha fatto perdere i chili in eccesso senza
sofferenze ed è poi diventata il mio stile di vita. Ebbene, mi sono
resa conto che, acquistando gli alimenti al mercato della città,
evitando i cibi precotti e surgelati, diminuendo le dosi di consumo,
calibrandole in base a quel che consumo effettivamente in termini di
calorie, ho riscontrato un risparmio economico che ha
dell’incredibile. Quindi, riassumendo: sono dimagrita, continuo a
mantenere la linea, mangio cibi freschi e di stagione. e mi rimangono
in tasca molti soldi in più.
C’è altro da dire?
Molto, e infatti Segrè
presenta due esempi di famiglie tipo, per aiutarci a capire quali
sono i piccoli errori che possiamo commettere senza neppure
accorgercene.
Leggete questo libro e
regalatelo, per tornare a uno stile di vita sano, ecologico e pure
economico!
Nel Museo Archeologico di Aquileia, da qualche mese c’è un nuovo allestimento, al quale si è aggiunta questa mostra preziosa, perché restituisce -sebbene per il periodo dell’esposizione- importanti reperti archeologici rinvenuti sul territorio.
In queste foto, ho catturato gli
oggetti e le statue che più hanno attirato la mia attenzione. Voi
avete ancora a disposizione cinque giorni per ammirare la mostra.
Non esitate!
Telamone
I secolo a.C.
Terracotta
da località Panigai e Monastero
Statua di divinità femminile (c.d.
Afrodite)
I secolo d.C.
Marmo
La statua fu rinvenuta nel febbraio
1824 negli scavi del parroco Antonio Supanzig e venduta per il
tramite di Girolamo de’ Moschettini alle collezioni imperiali a
Vienna nel 1828.
L’opera rappresenta una figura femminile nuda, con il solo mantello che avvolge il corpo ai fianchi. La posa della figura rimanda all’iconografia di una Venere Marina (o Ninfa), in genere raffigurata con una roccia posta dietro alla gamba destra, qui solo in parte conservata. A seconda della collocazione cui era destinata, la raffigurazione era completata da delfini, pilastrini, lunghi panneggi e recipienti per l’acqua. Si tratta di un’elaborazione di II sec. a.C. della famosissima Afrodite Cnidia di Prassitele, opera di IV sec. a.C., che per la prima volta rappresentava la dea completamente nuda. La scultura aquileiese doveva essere originariamente collocata in un luogo pubblico di grande visibilità, forse il teatro o le terme della città.
Applique con Testa di Vento
Fine del I secolo a.C. – inizio del I
secolo d.C.
Bronzo
Dal Foro, pozzo orientale
Rilievo con Bucrani
Metà I secolo d.C.
Marmo
Da località ignota
Rilievo con scena di aratura
II secolo d.C.
Marmo
Si ignora il rinvenimento di questo rilievo. Fu venduto alle collezioni imperiali nel 1874 da Johan Lusnik, insegnante ad Aquileia, e poi esposto nel Palazzo del Belvedere inferiore di Vienna.
La scena raffigura un uomo che conduce l’aratro, trainato da due buoi aggiogati. Al margine destro della lastra un elemento vegetale, forse un ramo di pino, con appeso uno strumento musicale (krotalon), completa la rappresentazione. Questo dettaglio, insieme all’abito orientale del personaggio, il berretto frigio e il bastone da pastore (pedum), hanno suggerito di riconoscervi Attis, divinità di origine orientale, le cui vicende mitiche si legano indissolubilmente a quelle della dea Cibele. L’identificazione resta però dubbia a causa dell’assenza di confronti per la scena d aratura nella documentazione del culto di Attis.
Capitello Corinzio con maschera
teatrale
Fine del II secolo d.C. – inizio del
III secolo d.C.
Marmo
Da località ignota
Stele funeraria di Bassilla
Prima metà del III secolo d.C.
Calcare
Da un’area funeraria a sud della città
…a lei che spesso sul palcoscenico
morì, ma non in questo modo, alla mima Bassilla, decima musa,
Eraclide, attore valente nella declamazione, pose questa stele. Anche
da mota essa ottenne un onore uguale a quello che godeva da viva,
poiché il suo corpo riposa in un suolo sacro alle muse. I tuoi
colleghi ti dicono: “Sta di buon animo, Bassilla, nessuno è
immortale”.
Inscriptiones Aquileiae
Statua di Artemide Efesia
I secolo d.C.
Marmo
Da località ignota
Tra le divinità orientali presenti ad Aquileia spicca l’Artemide di Efeso, dea lunare della natura e della caccia, dalla caratteristica veste aderente, adorna di offerte e simboli di fecondità. La divinità è ricordata anche in un’iscrizione bilingue, posta da Tiberio Claudio Magno, originario di Efeso e patrono ad Aquileia, del collegio dei cacciatori di Nemesi, altra divinità legata alla caccia e in particolare alle venationes che si svolgevano nell’anfiteatro.
Corredo funerario di Sacerdotessa
I-II secolo d.C.
Oro, Argento
Dalla necropoli di Beligna
Entro un’urna ancora sigillata nel
1885, si rinvenne un preziosissimo corredo, forse appartenuto, per la
singolarità degli oggetto deposti, a una sacerdotessa di origine
orientale.
Purtroppo, solo alcuni di essi entrarono a far parte della collezione storica: uno specchietto in argento con incise le tre Grazie, appliques in oro raffiguranti mosche ad ali chiuse, destinate a essere cucite sulla veste della donna, due foglie di edera in oro, che dovevano decorarne i sandali e un ciondolo cilindrico, anch’esso in oro, con funzione di amuleto.
Gemme con formule magiche
II-III secolo d.C.
Pietra Dura
Mano Magica di Sabazio
Bronzo
II secolo d.C.
Testa di Demetra (Iside)
I secolo d.C.
Marmo
La testa rappresenta una divinità
femminile con capo velato recante sulla sommità un piccolo canestro
(kalathos) decorato con un crescente lunare. Due corna, appena
visibili, in corrispondenza dell’attaccatura della chioma, completano
l’iconografia della divinità, interpretata da alcuni con un’immagine
di Demetra-Iside.
Nella propaganda politica dell’Egitto di età tolemaica, a partire dal regno di Arsinoe II (275-268 a.C.), numerose furono le sovrane che scelsero di farsi ritrarre con le fattezze della divinità, espressione di regalità e di abbondanza. Quest’uso fu recuperato in età romana e molte furono le dame della corte imperiale che adottarono il modello per i propri ritratti. Per tali ragioni vi è chi ha riconosciuto nella scultura aquileiese un ritratto di Cleopatra Selene, figli di Cleopatra e di Marco Antonio.
L’opera, appartenuta a Georg von Millosicz, ammiraglio della marina austriaca e collezionista di monete e oggetti antichi, fu acquistata a Vienna dal Gabinetto di Antichità nel 1890, dopo la sua morte.
Qui ci sono io, appoggiata a un Cedro
del Librano (o Himalayano ?) di circa 150 anni, il cui diametro è di
6 metri e l’altezza di 21. E’ immenso, possente, e i suoi rami
toccano fino a terra.
Quando andate in un museo, dotato di
giardino, osservate tutto, non soltanto i reperti archeologici e le
opere artistiche. Scoprirete tesori come questo, di una bellezza tale
da mozzare il fiato.